Panoramica sui trattamenti farmacologiciI TRATTAMENTI PER LA SCLEROSI MULTIPLA

Attualmente non esiste una cura definitiva alla sclerosi multipla. E’ difficile determinare gli effetti terapeutici di trattamenti sperimentali essendo una malattia caratterizzata per la maggior parte dei casi da remissioni spontanee. I farmaci oggi impiegati sono in grado di influenzare positivamente il decorso della malattia e di ridurne l’attività, ma ancora non rappresentano una soluzione definitiva al problema.

Il fatto di non essere ancora a conoscenza delle cause prime della malattia, rappresenta un forte limite a nuove prospettive terapeutiche; inoltre l’estrema variabilità della malattia comporta risposte altrettanto variabili alle terapie cliniche, con particolare riferimento ai farmaci immunomodulatori ed immunosoppressori. Un ulteriore limite sta nel fatto che fattori di previsione e di definizione della risposta clinica risultano ancora non ben definiti.
Si può parlare di efficacia relativa delle singole terapie e dal momento che agiscono con meccanismi d’azione differente, si è proiettati verso terapie multiple, cioè trattamenti terapeutici con più farmaci, in modo combinato o in sequenza.

In passato, il trattamento principale della sclerosi multipla era rappresentato da farmaci antinfiammatori steroidei quali l’adrenocorticotropina (conosciuto come ACTH), il prednisone, il metilprednisolone, il prednisolone, il betametasone ed il dexametasone.

Studi hanno dimostrato come la somministrazione endovenosa di metilprednisolone aveva un’efficacia superiore rispetto alla somministrazione intravenosa di adrenocorticotropina.

Attualmente il metilprednisolone, corticosteroide dalle proprietà antinfiammatorie, viene impiegato nel trattamento delle riacutizzazioni della malattia in forma recidivante-remittente, in quanto ha dimostrato efficacia nel ridurre la gravità e la durata delle esacerbazioni. Alti dosaggi di metilprednisolone si sono dimostrati efficaci, inoltre, nel migliorare la spasticità nelle forme di sclerosi multipla progressiva.

I corticosteroidi non sono impiegati in trattamenti a lungo termine del malato con SM, anzi generalmente derivati del cortisone vengono somministrati ad elevati dosaggi per brevi periodi (giorni) per ridurne gli effetti collaterali che risulterebbero, invece, più gravosi in seguito a trattamento prolungato.

Terapie a lungo termine, a scopo preventivo nella SM, si differenziano in:

  • terapie immunosoppressive aspecifiche (es ciclofosfamide, mitoxantrone, methotrexate, ed altri)
  • terapie immunomodulanti. Quest’ultime “specifiche” (es Copolimero-1) ed “aspecifiche” (es interferone- Beta, interferone-Alfa ed altri).

Terapie immunosoppressive aspecifiche

Per farmaci immunosoppressivi si intende agenti che sopprimono le risposte immunitarie. Essi vengono ad oggi impiegati in diverse condizioni cliniche tra cui anche le malattie autoimmunitarie.

Farmaci immunodepressivi sono stati impiegati per oltre 30 anni neltrattamento della sclerosi multipla, pur essendo ancor oggi oggetto di discussione una patogenesi autoimmunitaria della stessa. Circa il 10% dei pazienti con SM sono attualmente in terapia con immunosoppressivi. La ragione fondamentale che spinge a trattare la malattia con farmaci immunosoppressori è l’ipotesi secondi cui la SM sarebbe una malattia infiammatoria immuno-mediata che può trarre beneficio da una importante attività antinfiammatoria.

Azatioprina, metotrexate, ciclofosfamide e mitoxantrone ed ultimamente ilrituximab sono gli agenti più utilizzati.

Molti di essi sono sicuri in combinazione all’interferone-beta e sono sottoposti a studi controllati. Sebbene i farmaci immunosoppressori sono più efficaci in una terapia di induzione, il loro impiego è limitato dalla tossicità e dai potenziali rischi a lungo-termine (Zaffaroni M et al., 2006).

I dosaggi ed i tempi di somministrazione di farmaci immunosoppressori chemioterapici possono variare dipendentemente dal farmaco e dalle caratteristiche del paziente. La dose comunemente impiegata per l’azatioprina è di 2,5 mg/Kg al giorno, per via orale; i suoi effetti immunosoppressori si manifestano pienamente solo dopo 3-6 mesi di trattamento. La ciclofosfamide viene somministrata mensilmente per via endovenosa, al dosaggio di 1-2 g/m² di superficie corporea; gli schemi terapeutici applicati prevedono la somministrazione ripetuta del farmaco con richiami mensili oanche bimensili, ad intervalli sufficienti a permettere una ripresa delle conte delle cellule ematiche.

La somministrazione per via endovenosa di cicli ripetuti mensilmente, caratterizza anche il mitoxantrone, indicato ad un dosaggio di 10-12 mg/m² di superficie corporea; oltre la dose cumulativa di 120-130 mg/m² l’effetto collaterale più rilevante è rappresentato da tossicità a livello cardiaco.

Il metotrexate è somministrato in clinica per via endovenosa o più spesso per via orale al dosaggio di 2,5-5 mg al giorno; dosi anche di 20 mg/settimana, sembrano essere ben tollerate.

Farmaci impiegati nella SM

AZIATROPINA

L’Azatioprina è il farmaco immunosoppressore più largamente usato nella sclerosi multipla, a ragione della sua relativamente bassa tossicità. L’azatioprina è un derivato della mercaptopurina e funziona come un analogo strutturale o “antimetabolita”. Gli antimetaboliti possono operare con molti differenti meccanismi che vanno ad inibire la proliferazione cellulare. L’immunosoppressione che si verifica in seguito a somministrazione di azatioprina o mercaptopurina, sembra sia dovuta ad una interferenza o meglio ad una inibizione nella sintesi delle purine, del DNA e del RNA, necessari alla moltiplicazione cellulare che segue ad una stimolazione da parte di sostanze con potere antigene.

In tal modo, l’azatioprina sembra ridurre, principalmente, le risposte immuni umorali, anticorpali, mediate dal linfociti B.

Una recente meta-analisi di tutti gli studi controllati, pubblicati fino ad oggi, circa l’impiego di questo farmaco nella sclerosi multipla, ne evidenzia una riduzione nella frequenza delle riacutizzazioni di malattia nelle forme recidivanti-remittenti: l’efficacia dell’azatioprina neltrattamento della sclerosi multipla è stata accertata da una meta-analisi dei risultati di tutti gli studi in doppio-cieco, randomizzati e controllati, che sono stati pubblicati (Yudkin PL et al., 1991). 793 pazienti sono stati inclusi in 5 studi a doppio-cieco e in 2 studi a singolo cieco.

Dopo un anno di trattamento, l’incremento della disabilità, misurata sulla base della scala di Kurtzke (EDSS), non differiva nei gruppi trattati e nei gruppi controllo, ma dopo 2 anni c’era una piccola differenza a favore del trattamento con azatioprina; tale differenza era mantenuta, ma non aumentata, dopo tre anni di trattamento.

La probabilità d’essere liberi da possibili ricadute nel corso del primo, secondo e terzo anno di trattamento, era significativamente superiore nel gruppo trattato con azatioprina, ma rimane oggetto di discussione se i modesti effetti clinici dell’azatioprina superino i suoi effetti collaterali (Yudkin PL et al., 1991).

L’efficacia dell’azatioprina sull’attività e sulla progressione della malattia non ha mai trovato riscontro da misure oggettive come i parametri di risonanza magnetica, fino al 2005, quando Massacesi L. et altri, hanno dimostrato che la somministrazione di azatioprina, a dosaggi in grado di sopprimere i linfociti, risulta essere efficace nel ridurre nuove lesioni infiammatorie cerebrali nei pazienti con SM recidivante-remittente inclusi nello studio, oltre ad essere ben tollerata.

Gli effetti sulla forma primaria progressiva appaiono meno chiari, mentre una probabile riduzione dell’invalidità sembra essere documentabile in pazienti con malattia in fasesecondaria progressiva.

L’effetto tossico principale esplicato dall’azatioprina è rappresentato da una mieloinibizione (tossicità per gli elementi del midollo osseo); in seguito a dosi elevate sono anche possibili eruzioni cutanee, febbre, nausea e vomito, diarrea con sintomatologia gastrointestinale. A confronto di altre malattie trattate con l’azatioprina, nel caso della sclerosi multipla non sembra esservi la possibilità di sviluppo di neoplasie.

Ciclofosfamide

Tra i farmaci immunosoppressori impiegati nella sclerosi multipla (SM), la ciclofosfamideriveste un ruolo importante; si tratta di un agente alchilante antineoplastico e citostatico appartenente al gruppo delle mostarde azotate. La ciclofosfamide non è attiva nella forma in cui viene somministrata, ma deve essere convertita a composto citotossico attivo da particolari enzimi (microsomiali) a livello del fegato.

Questo farmaco esplica degli effetti selettivi nella risposta immune, quali la soppressione dell’attività dei linfociti T CD4+ di tipo Th1 (che mediano una risposta pro-infiammatoria) e l’incremento della risposta dei linfociti T CD4+ di tipo Th2 (che mediano una risposta anti-infiammatoria); entrambi questi meccanismi d’azione sono implicati nell’effetto benefico della ciclofosfamide nella SM (Gauthier SA, Weiner HL., 2005).

Negli anni, specialmente con l’avvento della risonanza magnetica per immagini (MRI), è migliorata la conoscenza del profondo effetto antinfiammatorio della ciclofosfamide, evidenziato dalla sua efficacia nelle riacutizzazioni della malattia e dalle lesioni ipercaptantigadolinio, in risonanza magnetica.

Gli effetti tossici di tale farmaco, in particolare a livello vescicale ed il rischio di neoplasie, ostacolano il largo impiego della ciclofosfamide nei primi anni della malattia. Essa può essere dosata sicuramente ed è generalmente ben tollerata nella forma recidivante-remittente, caratterizzata da riacutizzazioni ravvicinate con rapido accumulo di disabilità, o nei primi anni della forma secondaria progressiva, in casi che non rispondono a terapie con beta-interferone e con glatiramer acetato (Gauthier SA, Weiner HL., 2005).

Nel 2006 Gladstone DE et al, descrissero gli effetti derivanti dal trattamento di elevati dosaggi di ciclofosfamide in forme severe di sclerosi multipla refrattaria. Lo studio includeva pazienti con sclerosi multipla con un livello pari a 3,5 o più sulla scala di disabilità di Kurtzke e che erano stati sottoposti a2 o più terapie a base di farmaci modificanti il decorso clinicodella malattia, approvati dalla Food and Drug Administration. I pazienti inclusi nello studio ricevettero 200 mg/kg di ciclofosfamide oltre 4 giorni. I pazienti erano sottoposti a risonanza magnetica per immagini e a valutazione neuro-oftalmologica ogni 6 mesi, inoltre trimestralmente ne veniva controllato il valore della EDSS e della qualità della vita; il tutto per un periodo di 2 anni.

Dodici pazienti furono valutati sulla base della loro risposta clinica (intervallo di tempo dello studio clinico dai 6 ai 24 mesi). I risultati dimostrarono che durante lo studio nessun paziente ebbe un incremento superiore ad 1.0 del suo livello basale di EDSS. 5 pazienti dimostrarono un decremento di 1.0 punto o più del loro valore EDSS.

Nessun paziente evidenziava nuove lesioni alla risonanza magnetica cerebrale. Nessun paziente dimostrava lesioni in crescita. I pazienti riportarono un miglioramento di tutti i parametri misurati riferiti alla qualità della vita. Da un punto di vista neurologico si osservò un miglioramento dell’andatura, del controllo vescicale e della funzione visiva. La risposta al trattamento si dimostrò indipendente dalla presenza iniziale o dalla assenza di lesioni attive ipercaptanti mezzo di contrasto. Un miglioramento della qualità della vita dei pazienti si rivelò indipendentemente dai cambiamenti dei livelli di EDSS. In questo piccolo gruppo di pazienti affetti da sclerosi multipla refrattaria severa, gli elevati dosaggi di ciclofosfamide somministrati, erano associati ad una minima morbosità (stato della malattia) e a risultati clinici migliorati. In conclusione possiamo affermare che il trattamento, con alti dosaggi di ciclofosfamide, di pazienti con sclerosi multipla refrattaria severa, può comportare una stabilità, un miglioramento delle funzionalità e della qualità della vita. Ulteriori indagini saranno necessarie per determinare i pazienti più adatti a tale trattamento (Gladstone DE et al., 2006).

Un ulteriore studio è stato avviato allo scopo di verificare l’efficacia della combinazione di ciclofosfamide ed interferone beta in un gruppo di pazienti con sclerosi multipla in forma recidivante-remittente, che precedentemente erano stati sottoposti a trattamento con interferone beta, senza successo (Reggio E et al., 2005). Questo a conferma del fatto che agenti immunomodulatori, quale l’interferone beta, sono solo parzialmente efficaci in pazienti con forma RR. Sono incoraggianti, invece, gli esiti delle ultime ricerche sulle terapie immunosoppressive. Gli effetti antinfiammatori ed immunosoppressivi della ciclofosfamide, sono stati impiegati nel trattamento di casi selezionati di sclerosi multipla recidivante-remittente con un decorso progressivo ed in peggioramento, come terapia di sostegno. Tale studio ha dimostrato che la combinazione di ciclofosfamide più interferone beta, arrestava la progressione della malattia in fase attiva e rapidamente invalidante, suggerendo così la necessità di ulteriori studi randomizzati e controllati, per confermare l’efficacia di questa terapia combinata, in pazienti con SM recidivante-remittente attiva (Reggio E et al., 2005).

Gli effetti a breve termine della ciclofosfamide sono alopecia, infezioni, cistite emorragica, vomito, ecc; a lungo termine, invece, vi sono gravi rischi di sviluppo di neoplasie, soprattutto della vescica. A fronte di questi importanti effetti collaterali, l’uso della ciclofosfamide è limitato a pazienti con forme particolarmente aggressive di malattia, ed anche in questi casi l’uso di tale farmaco andrebbe sostituito da altre terapie immunosoppressive, più efficaci e meno tossiche.

Mitoxantrone

Il mitoxantrone è un antineoplastico in grado di legarsi al DNA producendo rottura dei filamenti ed inibizione della biosintesi di DNA ed RNA. Questo farmaco è attivo nella leucemia mieloide acuta del bambino e dell’adulto, nei linfomi non-Hodgkin e nel carcinoma mammario.

Il mitoxantrone è un immunosoppressore; viene somministrato per via endovenosa ed agisce inibendo l’attività dei linfociti T, dei linfociti B e la proliferazione dei macrofagi. A ragione del suo meccanismo d’azione è indicato nel diminuire la disabilità neurologica e la frequenza delle ricadute in pazienti con sclerosi multipla secondariamente progressiva, con SM recidivante progressiva, o in pazienti con forma recidivante-remittente caratterizzato da un rapido accumulo di disabilità (Fox EJ., 2006).

Fox EJ., nel suo articolo riesamina la patogenesi e la storia naturale della SM e analizza le possibili opzioni di trattamento per i pazienti con SM recidivante-remittente (RR), recidivante-remittente in peggioramento, o con SM secondaria progressiva , focalizzando l’attenzione sulla terapia con mitoxantrone. Fox ha preso in rassegna cinque studi randomizzati, in cieco, controllati e uno studio continuo in fase IV sulla sicurezza del farmaco.

In uno studio randomizzato in doppio-cieco, un gruppo di pazienti affetti da SM recidivante-remittente, a cui era stato somministrato mitoxantrone in 8mg/m2 mensilmente, dimostrò una riduzione significativa nella frequenza delle ricadute ad un anno, rispetto a quei pazienti che avevano ricevuto una soluzione placebo.

In un altro studio randomizzato, parzialmente in cieco,di due anni, i pazienti con SM recidivante-remittente attiva che avevano ricevuto mitoxantrone al dosaggio di 8 mg/m² al mese, avevano subito minori ricadute rispetto a coloro che avevano ricevuto placebo, inoltre erano significativamente meno i pazienti che avevano confermato una progressione della disabilità (con un incremento di 1 punto sulla Expanded Disability Status Scale).

In uno studio randomizzato, parzialmente in cieco, di fase II, in 42 pazienti con SM recidivante-remittente o secondaria progressiva, quei pazienti che avevano ricevuto 20 mg di mitoxantrone per via endovenosa, al mese, associato ad 1 g di metilprednisolone al mese, dimostravano un numero inferiore di lesioni ipercaptanti gadolinio in risonanza magnetica ed un numero inferiore di ricadute dopo sei mesi, rispetto a quei pazienti che avevano ricevuto solamente metilprednisolone.

In uno studio pilota di fase III, i pazienti con SM recidivante-remittente o con SM secondaria progressiva che ricevettero 12 mg/m² g3mo di mitoxantrone per due anni, dimostrarono una riduzione significativa delle ricadute ed un minor aggravamento della disabilità, espressa dalla scala EDSS. In un sottogruppo non randomizzato dell’ultimo studio, coloro che avevano ricevuto 12mg/m² g3mo di mitoxantrone rivelarono, dopo 24 mesi, una significativa riduzione nel numero delle lesioni iperintense in T2 alla risonanza magnetica (Fox EJ.,2006).

L’uso del mitoxantrone può portare a seri effetti collaterali, in particolare cardiotossicità, mielosoppressione e raramente leucemia (Fox EJ., 2006).

Metotrexate

Il metotrexate (MTX) è un antitumorale antimetabolita molto potente, antagonista strutturalmente completo dell’acido folico, che agisce inibendo la diidrofolato reduttasi (DHFR) umana, enzima che interviene nella sintesi di macromolecole essenziali alla vita cellulare, quali DNA ed RNA.

Il metotrexate a dosi oncologiche è un potente agente immunosoppressore. Il suo meccanismo d’azione, nell’ambito di patologie autoimmuni, è rappresentato da un’attività antinfiammatoriaed immunomodulante, nonché da un incremento del rapporto linfociti T helper/linfociti T suppressor.

Il metotrexate trova importanti indicazioni anche nel trattamento dell’artrite reumatoide; tra i farmaci antireumatici in grado di modificare l’attività di malattia, è quello più comunemente usato attualmente in tutto il mondo. Tuttavia rimane ancora sconosciuto il meccanismo specifico attraverso cui il MTX impiegato a basi dosaggi, sia in grado di modulare l’infiammazione nell’artrite reumatoide (Swierkot J et al., 2006). Diversi studi clinici lasciano pensare che fra tutti i farmaci antireumatici a lenta azione, il metotrexate abbia il miglior rapporto rischio-beneficio, tant’è vero che i pazienti che escono dagli schemi terapeutici con questo farmaco – per ragioni di tossicità o di assenza di benefici – sono in numero notevolmente inferiore a quelli trattati con altri agenti antireumatici a lenta azione (Felson, 1990; Wolfe, 1990).

Per quanto concerne la sua applicazione alla sclerosi multipla, il metotrexate potrebbe, teoricamente, espletare un effetto benefico sulla frequenza delle ricadute e nel ritardare la progressione della malattia ( Gray O, McDonnel GV et al, 2004).

Diversi studi clinici sono stati condotti sul metotrexate in pazienti con SM, al fine di identificare e riassumere l’evidenza che tal farmaco è benefico e sicuro per le persone con SM.

Uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, a bassi dosaggi settimanali di metotrexate per via orale, era stato eseguito su un gruppo di 60 pazienti affetti da SM cronico progressiva, clinicamente definita. I pazienti in esame avevano tra i 21 ed i 60 anni con una durata della malattia di oltre un anno. Sulla base della Expanded Disability Status Scale (EDSS) il loro punteggio andava da 3.0 a 6.5 (deambulazione con moderata disabilità). I pazienti furono prima suddivisi in riferimento al punteggio raggiunto sulla EDSS, da 3.0 a 5.5 e da 6.0 a 6.5, quindi furono randomizzati per ricevere il metotrexate o il placebo. Il trattamento consisteva nella somministrazione settimanale per via orale di bassi dosaggi di metotrexate (7,5mg) o allo stesso modo di placebo, per 2 anni, seguiti da un periodo di osservazione di 1 anno. Test convalidati sulla funzionalità delle estremità superiori dimostrarono, nel gruppo sottoposto a trattamento con metotrexate, una significativa riduzione nella progressione del danno, in assenza di tossicità clinica significativa.

In conclusione bassi dosaggi di metotrexate per via orale, assunti settimanalmente, rappresentano un nuovo e relativamente non tossico, trattamento per i pazienti con SM cronico progressiva (Goodkin DE et al., 1995).

Nel 2001, invece, Lugaresi et al., con il loro studio vollero accertare, ulteriormente, la sicurezza e l’efficacia di un trattamento a bassi dosaggi di metotrexate per via orale, in pazienti con sclerosi multipla cronico progressiva. Studiarono 20 pazienti con SM cronico progressiva, compresi 16 con forma secondaria progressiva che avevano dimostrato una progressione della malattia nell’ultimo anno. La media del follow-up era di 23 mesi. La media del valore sulla EDSS era di 6,3+/-1,1 prima del trattamento e di 6,4+/-1,1 dopo un anno di terapia. Dopo un anno 15 dei 20 pazienti erano ancora sottoposti al trattamento, mentre 10 erano stabili. 12 pazienti avevano completato 18 mesi di trattamento, mentre 8 erano stabili. 2 pazienti interruppero la terapia causa gli effetti collaterali, altri due perché non avevano percepito alcun beneficio. In sei pazienti i livelli degli enzimi epatici subirono un incremento moderato e transitorio ed in due si manifestò herpes zoster localizzato. La risonanza magnetica per immagini eseguita sia prima del trattamento che dopo un anno, rimase invariata .

In conclusione confermarono quindi che bassi dosaggi di metotrexate per via orale, sono sicuri nel gruppo di pazienti con SM cronico progressiva accuratamente selezionato e monitorato.

Il metotrexate è un farmaco economico e a ragione della sua attività antinfiammatoria e immunomodulante, potrebbe essere impiegato quale terapia aggiuntiva in pazienti non rispondenti al trattamento con interferone-beta, nonostante il fatto che uno dei suoi effetti a lungo termine sia una tossicità epatica.(Lugaresi A et al.,2001).

Gray OM et al., nel 2006 eseguirono una revisione sistematica di tutti gli studi randomizzati controllati condotti sul trattamento con metotrexate per via orale in pazienti con SM. In conclusione si osservò che nella forma cronica progressiva, il singolo studio incluso rivelava una tendenza non significativa nella riduzione della progressione continua, misurata tramite la scala di disabilità EDSS, così pure nel numero di ricadute per metotrexate.

Uno studio eseguito su pazienti con SM recidivante-remittente, evidenziava una tendenza non significativa a favore del metotrexate, ma è stato escluso per motivi metodologici. Prima di trarre ulteriori conclusioni sull’efficacia del metotrexate per via orale nella SM, sono necessari altri studi sia nel gruppo recidivante-remittente, che in quello progressivo (Gray O,Mc Donnel GV et al., 2006).

L’effetto del metotrexate nella sclerosi multipla appare quindi modesto. Il suo impiego deve essere valutato, inoltre, tenendo in considerazione i suoi effetti avversi quali fibrosi epatica, polmonite asettica e rischio di neoplasie.

Altre sostanze per il trattamento della SM

Antiossidanti

Attualmente in letteratura esiste una ampio numero di articoli che vanno a descrivere il ruolo dell’ossidazione e perossidazione lipidica nella evoluzione della SM. Molti ricercatori hanno evidenziato un incremento dei prodotti di ossidazione in persone con SM, rispetto a volontari sani e nel modello animale classico di SM, quale la encefalite allergica sperimentale(EAE). Inoltre, si è osservato che nel corso di un attacco acuto da SM, tali prodotti di ossidazione distruggono il sistema di difesa antiossidante. Ciò che ancora non è stato dimostrato è se un miglioramento dello stato antiossidante di pazienti con SM, possa influenzare la progressione della malattia. Proteggere ampiamente le membrane cellulari insature dallo stress ossidativo e “stimolare” lo stato antiossidante in pazienti con SM, è altamente consigliabile al fine di favorire il sistema antiossidante.

Gli antiossidanti comunemente impiegati comprendono il selenio e le vitamine A, C ed E. Altri componenti appartenenti alla categoria degli antiossidanti sono l’acido alfa-lipoico, l’inosina, l’acido urico, il coenzima Q-10 (CoQ10).

Vi sono due ragioni principali per cui gli antiossidanti potrebbero avere significato nella sclerosi multipla. In primo luogo i radicali liberi potrebbero essere coinvolti nella patogenesi della SM. La mielina, rivestimento isolante delle fibre nervose, potrebbe essere danneggiata nella SM dal rilascio di radicali liberi da parte delle cellule immunitarie nel’ambito del processo infiammatorio. Anche le fibre nervose stesse, gli assoni, vanno incontro ad una progressiva degenerazione che potrebbe coinvolgere i radicali liberi. Infatti, studi recenti, dimostrano come il danno ossidativo aumenti nella EAE, modello animale della SM, e a livello tissutale in pazienti con SM. Altro aspetto di importanza nell’ambito degli “antiossidanti”, sta nel fatto che diete ricche di acidi grassi polinsaturi, come spesso viene raccomandato ai pazienti con SM, potrebbero causare una deficienza di vitamina E, tale da richiedere l’intervento di supplementi a base della stessa vitamina.

Studi specifici sul ruolo degli antiossidanti nella SM, sono davvero limitati. Studi condotti sull’EAE, modello animale classico per lo studio della SM, rivelano come gli antiossidanti potrebbero ridurre la severità della malattia. Studi recenti dimostrano che l’acido alfa-lipoico e l’acido urico, rappresentano terapie efficaci per l’EAE. In uno studio umano, si è osservato che 18 persone con SM, trattate per 5 settimane con vitamina C, vitamina E e selenio, non avevano accusato alcun effetto avverso. Tale studio, d’altro canto, era troppo ridotto e troppo breve per ottenere risultati definitivi sulla sicurezza ed efficacia nell’uso di antiossidanti nella SM.

Molti componenti antiossidanti attivano cellule immunitarie quali in primo luogo i linfociti T ed i macrofagi. Tali cellule sono già eccessivamente attive nella SM, inoltre la stimolazione con antiossidanti potrebbe potenzialmente aggravare la malattia. Ciò rappresenta, comunque, un rischio teorico poiché non si è ancora indagato in tal senso. Inoltre, la sicurezza di numerosi supplementi dietetici, inclusi gli antiossidanti, non è stata ancora definita in donne in stato interessante o durante l’allattamento.

Secondo l’International Medical and Scientific Board (IMSB), Medical Management Committee, vi è una evidenza sperimentale e teorica per cui gli antiossidanti potrebbero avere significato terapeutico nella sclerosi multipla. D’altro canto non sono stati condotti studi clinici ben definiti che indichino se gli antiossidanti siano in realtà sicuri ed efficaci nella SM; sono necessari studi clinici sugli antiossidanti in pazienti con SM. In ultima analisi, i principi attivi a proprietà antiossidante sono poco dispendiosi e associati ad un rischio teorico nella SM.

Riportiamo di seguito alcuni studi condotti sugli antiossidanti nell’ambito della SM.

“E’ noto che le cellule cerebrali e quelle del sistema nervoso, sono soggette ad un danno ossidativo a causa del loro relativamente basso contenuto di antiossidanti, in particolare quelli enzimatici, e di elevati livelli di acidi grassi polinsaturi di membrana (PUFA), inoltre a causa di un facile rilascio di ferro da parte di cellule danneggiate. Recentemente è stato studiato il livello di stress ossidativo nel sangue (plasma, eritrociti e linfociti) in 28 pazienti affetti da sclerosi multipla ed in 30 pazienti controllo sani, eseguendo una analisi multiparametrica di antiossidanti enzimatici e non-enzimatici, quali Vitamina E (Vit. E), Ubiquinone (UBI), glutatione allo stato ridotto e ossidato (GSH, GS-SG), superossido dismutasi (SOD), glutatione perossidasi (GPX), catalasi (CAT) and PL-FA. PL-FA e Vit. E furono saggiate con GC-MS; UBI e GSH/GS con HPLC; SOD, GPX e CAT con spettrofotometro. Rispetto ai controlli, i pazienti con SM dimostrarono livelli plasmatici significativamente ridotti di UBI (0.21 +/- 0.10 vs. 0.78 +/- 0.08 mg/ml, p < 0.001), di Vit. E (7.4 +/- 2.1 vs. 11.4 +/- 1.8 mg/ml, p < 0.01), di UBI a livello dei linfociti (8.1 +/- 4.0 vs. 30.3 +/- 7.2 ng/ml di sangue, p < 0.001) e di GPX a livello eritrocita rio ( 22.6 +/- 5.7 vs. 36.3 +/- 6.4 U/g Hb, p < 0.001). In conclusione il sangue di pazienti con SM, dimostra i segni di uno stress ossidativo significativo. La possibilità di contrastare lo stress ossidativo tramite la somministrazione aggiuntiva di antiossidanti mediante una dieta appropriata, potrebbe rappresentare un modo appropriato per inibire la progressione della malattia. Supplementi a base di antiossidanti dovrebbero includere non soltanto agenti ricchi di GSH, ma anche Vitamina E, ubiquinolo e selenio”. Syburra C, Passi S. Oxidative stress in patients with multiple sclerosis. Ukr Biokim Zh. 1999 May-Jun; 71(3):112-5

“Abbiamo studiato i livelli sierici di acido ascorbico, betacarotene, retinolo ed alfa-tocoferolo e la perossidazione lipidica ( stimata attraverso TBARS) in 24 pazienti con sclerosi multipla e in 24 pazienti controllo sani di ugual sesso ed età. I livelli delle 4 vitamine antiossidanti erano significativamente più bassi nei pazienti con SM rispetto ai controlli ( p < 0.05). I livelli TBARS erano significativamente più alti nei pazienti con SM rispetto ai controlli (p = 0.001). Nei pazienti con SM, i livelli di beta-carotene, alfa-tocoferolo ed acido ascorbico, erano significativamente correlati ad ogni altro (r2 = 0.689 – 0.779). Sembrava ci fosse una relazione inversa tra i livelli sierici di acido ascorbico o beta-carotene, ma non di alfa-tecoferolo o retinolo, e i livelli di TBARS in pazienti con SM. Tale studio indica che le vitamine antiossidanti (alfa-tocoferolo, beta-carotene, retinolo ed acido ascorbico) diminuiscono nel siero di pazienti con SM nel corso di un attacco e questo decremento potrebbe dipendere da un incremento del carico ossidativo come risultato dell’azione dei prodotti della perossidazione lipidica. Il ruolo di supplementi di vitamine antiossidanti nella prevenzione e/o trattamento della SM, rimane da esplorare”. Besler HT, Comoglu S, Okcu Z. Serum levels of antioxidant vitamins and lipidic peroxidation in multiple sclerosis. Neutr Neurosci 2002; 5(3): 215-20.

“Recentemente è stata raccomandata l’assunzione di elevati dosaggi di supplementi antiossidanti in pazienti con sclerosi multipla. L’obiettivo di tale studio è quello di valutare la sicurezza clinica, l’attività della glutatione perossidasi (GSH-px) e l’assorbimento di selenio nel corso dell’assunzione di tali supplementi. 18 pazienti con SM dovettero assumere 6 compresse, costituite esclusivamente per questo studio, equivalenti a 6 mg di sodio selenite, 2 g di vitamina C e 480 mg di vitamina E, ogni giorno per 5 settimane. L’attività della glutatione perossidasi, che era più bassa rispetto ai controlli non-SM prima del trattamento, crebbe di cinque volte nel corso delle 5 settimane di trattamento. Gli effetti collaterali riscontrati erano scarsi. 10 pazienti con SM furono sottoposti ad uno studio al fine di valutare l’assorbimento di selenio nelle 24 ore, dopo l’ingestione di 2 compresse attive equivalenti a 2 mg di sodio selenite. I livelli di selenio, che erano bassi inizialmente, crebbero del 24% durante le prime 3 ore dalla somministrazione, per poi stabilizzarsi. In conclusione si osservò che il trattamento a base di antiossidanti in esame sembrava essere sicuro e che nei pazienti con SM i livelli di attività della glutatione perossidasi erano bassi e potrebbero essere incrementati dal trattamento antiossidante testato”.

Mail J, Sorensen PS, Hansen JC. High dose antioxidant supplementation to MS patients. Effects on glutathione peroxidase, clinical safety, and absorption of selenium. Bio Trace Elem Res. 1990; 24(2): 109-17.

“In 36 pazienti con sclerosi multipla ed in 32 pazienti controllo, abbiamo messo a confronto i livelli liquorali (CSF) e i livelli sierici di alfa-tocoferolo (vitamina E) ed il rapporto CSF/siero dell’alfa-tocoferolo, misurati tramite HPLC. La media dei livelli liquorali di vitamina E e del rapporto liquor/siero di vitamina E, non differivano in maniera significativa tra i due gruppi di studio. I livelli sierici di vitamina E ed il rapporto sierico di vitamina E/colesterolo, erano significativamente più bassi nei pazienti con SM rispetto al gruppo controllo (P < 0.05 e P < 0.01, rispettivamente). Tali valori, nel gruppo di pazienti con SM, non erano correlabili all’età, né all’età di esordio della malattia né alla durata della malattia stessa. I risultati di tale studio suggeriscono che le concentrazioni di vitamina E a livello del liquido cerebrospinale, non rappresentano un marker di attività in pazienti con SM”. Jiménez-Jiménez FJ, de Bustos F, Molina JA, de Andrès C, Gasalla T, alter. Cerebrospinal fluid levels of alpha-tocopherol in patients with multiple sclerosis. Neurosci Lett. 1998; 249(1): 65 – 7.

Bibliografia

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Bowling AC, Stewart TM. Current complementary and alternative therapies for multiple sclerosis. Curr Treat Options Neurol 2003; 5: 55 – 68.

Mai J, Sorenson P, Hansen J. High dose antioxidant supplementation to MS patients: Effects on glutathione peroxidase, clinical safety, and absorption of selenium. Biol Trace Elem Res 1990; 24:109 – 117.

Marcucci GH, Jones RE, McKeon GP, et al. Alpha lipoic acid inhibits T cell migration into the spinal cord and suppresses and treats experimental autoimmune encephalomyielitis. J Neuroimmunol 2002; 131: 104 – 114.

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Jiménez-Jiménez FJ, de Bustos F, Molina JA, de Andrès C, Gasalla T, alter. Cerebrospinal fluid levels of alpha-tocopherol in patients with multiple sclerosis. Neurosci Lett. 1998; 249(1): 65 – 7.

Dr. S. Tacchini

Acido Alfa-lipoico e Diidrolipoico

Caratteristiche dell’acido lipoico

L’acido lipoico (LA) e la sua forma ridotta, l’acido diidrolipoico (DHLA), sono presenti in tutte le cellule procariote ed eucariote. Un tempo l’acido lipoico era considerato una vitamina, ora invece è comune l’accordo secondo cui sarebbe sintetizzato all’interno delle cellule umane ex novo. Per lungo tempo l’acido lipoico è stato conosciuto come un importante coenzima di un complesso multienzimatico che catalizza la decarbossilazione di chetoacidi, ma indagini più recenti si sono soffermate sulle sue proprietà antiossidanti.

Sia LA che DHLA, sono potenti “spazzini" dei radicali liberi e sono in grado di complessare ioni metallici. Essi, inoltre, sono responsabili della rigenerazione delle forme attive di altri antiossidanti cellulari, incluse la vitamina C ed E. Inoltre, l’acido lipoico è coinvolto nella regolazione del metabolismo dei lipidi e dei carboidrati. LA viene facilmente assorbito a livello del tratto gastrointestinale, attraversa la barriera emato-encefalica, e non provoca alcun effetto collaterale serio.

L’insieme di questi fattori, rende l’acido lipoico un reale farmaco promettente.

Attualmente questo composto, in associazione ad un complesso polivitaminico (gruppo B, vitamine C ed E) è impiegato nel trattamento di malattie di origine degenerativa quali diabete, neuropatie, intossicazione da metalli e da funghi, così come in disordini epatici. L’applicazione dell’acido lipoico nel trattamento di altre malattie, quali l’ipertensione o malattie autoimmuni, necessita di ulteriori accertamenti.

(Malinska D, Winiarska K. [Lipoid acid: characteristics and therapeutic application]. Postepy Hig Med Dosw (Online). 2005;59:535-43.)

Sono stati condotti numerosi studi a dimostrazione del possibile ruolo dell'acido lipoico nella sclerosi multipla (SM). Di seguito ne riportiamo alcuni.

“L’acido alfa-lipoico inibisce la migrazione delle cellule T all’interno del midollo spinale, inoltre sopprime e tratta l’encefalomielite sperimentale autoimmune (EAE) “.

…Il midollo spinale dei topi con EAE, trattati con acido alfa-lipoico, dimostrava una riduzione della demielinizzazione, del danno assonale ed una rapida riduzione delle cellule CD3+ (linfociti T). In vitro l’acido alfa lipoico e la sua forma ridotta, l’acido diidrolipoico, inibivano l’attività della metalloproteasi di matrice-9 (MMP-9) (1) in modo dose-dipendente.In conclusione l’acido alfa-lipoico si è dimostrato ampiamente efficace nel sopprimere e trattare l’EAE per inibizione del traffico di cellule T all’interno del sistema nervoso centrale (SNC) e probabilmente agendo come un inibitore della metalloproteasi di matrice.

(1) Le metalloproteasi di matrice (MMP) costituiscono una vasta famiglia di enzimi zinco dipendenti che svolgono un ruolo centrale nell’immunopatogenesi della SM, poiché contribuiscono all’ “apertura" della barriera emato-encefalica e quindi a facilitare l’ingresso di cellule infiammatorie nel sistema nervoso centrale, determinando così lo sviluppo di lesioni demielinizzanti. Inoltre possiedono proprietà neurotossiche e mielinitossiche.

(Marracci GH, Jones RE, McKeon GP, Bourdette DN. Alpha lipoic acid inhibits T cell migration into the spinal cord and suppresses and treats experimental autoimmune encephalomyelitis. J Neuroimmunol. 2002; 131(1-2):104-14.)

" L’acido lipoico inibisce l’espressione dell’ICAM-1 e della VCAM-1 sulla superficie luminale delle cellule endoteliali ed inibisce la migrazione delle cellule T all’interno del midollo spinale, nella encefalomielite sperimentale autoimmune “.

L’acido lipoico (LA) sopprime e tratta cavie con l’encefalomielite sperimentale autoimmune (EAE), modello animale classico della sclerosi multipla. Il meccanismo con il quale LA media i suoi effetti nella EAE, sono solo parzialmente noti.

In questo studio, è stato evidenziato come l’acido lipoico (25, 50, 100 microgrammi/ml) sia in grado di inibire la sovraespressione delle molecole di adesione ICAM-1 e VCAM-1 (2) sulla superficie luminale delle cellule endoteliali cerebrali in coltura, previamente stimolate con il fattore di necrosi tumorale- alfa (TNFalfa).

Analisi immunoistochimiche del midollo spinale delle cavie in cui era stata indotta l’EAE e che in seguito avevano assunto acido lipoico (100 mg/kg/die), dimostrarono un decremento marcato nell’espressione di ICAM-1 e VCAM-1, rispetto alle cavie in cui era stata somministrata solo soluzione salina.

Il midollo spinale delle cavie riceventi acido lipoico mostrava una riduzione significativa dell’infiammazione, rispetto alle cavie con EAE in cui era stata somministrata salina.

In particolare, i nostri risultati, suggeriscono che gli effetti antiinfiammatori dell’acido lipoico nella EAE, potrebbero dipendere specialmente da una inibizione dell’espressione di ICAM-1 e VCAM-1 sulla superficie delle cellule endoteliali del sistema nervoso centrale.

(2) La ICAM-1 e la VCAM-1 sono molecole di adesione cellulare che intervengono, cioè, facilitando l’ingresso delle cellule infiammatorie ( linfociti T, macrofagi,…) all’interno del sistema nervoso centrale, favorendo così la comparsa di lesioni demielinizzanti e l’instaurarsi di attacchi clinici, espressione di una fase attiva della malattia.

(Chaudary P, Marracci GH, Bourdette DN. Lipoic acid inhibits expression of ICAM-1 and VCAM-1 by CNS endotelial cells and T cell migration into the spinal cord in experimental autoimmune encephalomyelitis. J. Neuroimmunol. 2006; 175(1-2): 87-96.)

" L’acido lipoico nella sclerosi multipla: uno studio pilota."

L’acido lipoico è un’antiossidante che sopprime e tratta un modello animale di sclerosi multipla, l’encefalomielite sperimentale autoimmune.

Lo scopo di questo studio stava nel determinare la farmacocinetica, la tolleranza e gli effetti dell’acido lipoico assunto oralmente nei pazienti con SM, gli effetti sulla metalloproteasi di matrice-9 e sulla molecola di adesione intercellulare solubile-1, sICAMP-1.

37 pazienti con SM sono stati assegnati casualmente ad uno dei quattro gruppi: placebo, acido lipoico 600mg due volte al giorno, acido lipoico 1200mg una volta al giorno, acido lipoico 1200mg due volte al giorno.

I pazienti inclusi nello studio hanno assunto il farmaco per 14 giorni.

Abbiamo riscontrato che i soggetti che assumevano 1200mg di acido lipoico presentavano picchi di livelli sierici di LA più alti rispetto a chi assumeva 600mg e che i picchi variavano significativamente tra i vari pazienti. Abbiamo, inoltre, riscontrato una correlazione significativamente negativa tra i livelli dei picchi sierici di LA e le variazioni medie dei livelli sierici di MMP-9. Inoltre c’era una relazione dose-dipendente significativa tra LA e le variazioni medie dei livelli sierici di sICAMP-1.

Concludiamo che LA per via orale è generalmente ben tollerato e sembra essere in grado di ridurre i livelli sierici della MMP-9 e del sICAMP-1.

L’acido lipoico potrebbe rivelarsi utile nel trattamento della SM, dal momento che inibisce l’attività della MMP-9 ed interferisce nella migrazione dei linfociti T all’interno del sistema nervoso centrale.

(Yadav V, Marracci G, Lovera J et al. Lipoic acid in multiple sclerosis: a pilot study. Mult Scler. 2005; 11(2): 159-65.)

“L’acido alfa-lipoico è efficace nella prevenzione e nel trattamento dell’encefalomielite sperimentale autoimmune".

L’acido alfa-lipoico è un antiossidante metabolico neuroprotettivo ed è stato dimostrato essere in grado di attraversare la barriera emato-encefalica. Abbiamo dimostrato, inoltre, la sua capacità nel prevenire l’encefalomielite sperimentale autoimmune (EAE), modello dichiarato di sclerosi multipla, indotta dalla glicoproteina della mielina e degli oligodendrociti, aa 35-55 (MOG35-55). La somministrazione orale di acido alfa-lipoico, all’inizio dell’immunizzazione dei topi, preveniva significativamente la progressione dell’EAE rispetto ai topi controllo. Ciò era associato ad una riduzione dell’infiltrazione di cellule T e di macrofagi all’interno del sistema nervoso centrale, così come ad un decremento della demielinizzazione. Abbiamo quindi sperimentato l’acido lipoico in un protocollo terapeutico mirato alla soppressione dell’EAE dopo il suo inizio. La somministrazione intraperitoneale (i.p.), ma non orale, dell’acido lipoico, preveniva significativamente la progressione della malattia rispetto ai controlli. Allo stesso modo abbiamo osservato una riduzione della demielinizzazione e della componente infiammatoria infiltrante. Questo effetto clinico non dipendeva da un danno nel riconoscimento della glicoproteina MOG35-55 da parte delle cellule T. Al contrario, le cellule T specifiche per la glicoproteina della mielina a degli oligodendrociti MOG, erano caratterizzate da un decremento nella produzione dell’interferone gamma (IFN-gamma) e dell’interleuchina-4 (IL-4), citochine suggestive di un’attività immunosoppressiva sia dei linfociti Th1 che dei linfociti Th2. Inoltre l’acido alfa-lipoico inibiva l’attività delle metalloproteasi di matrice, MMP-2 e MMP-9, solo ad alti dosaggi. In conclusione i nostri risultati indicano che l’acido alfa-lipoico è in grado di interferire effettivamente con la reazione autoimmune associata all’EAE, attraverso meccanismi che vanno oltre la sua attività antiossidante e promuovono studi futuri sull’uso dell’acido alfa lipoico come una potenziale terapia nella sclerosi multipla.

(Morini M, Roccataglia L, Dell’Eva R, Pedemonte E, Furlan R, et al. Alpha lipoic acid is effective in prevention and treatment of experimental autoimmune encephalomyelitis. J. Neuroimmunol. 2004; 148(1-2): 146-53.)

Statine

Le statine rappresentano un gruppo di agenti farmacologici efficaci nel trattamento della ipercolesterolemia,in grado infatti di abbassare i livelli di colesterolo attraverso l’inibizione della 3-idrossi-3-metilglutglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi, enzima regolatore nella sintesi del colesterolo. Le statine vengono assunte oralmente e sono comunemente impiegate nel trattamento dell’aterosclerosi e di malattie coronariche.

Gli agenti in grado di modificare il decorso della malattia, attualmente impiegati nel trattamento della sclerosi multipla, non sono completamente efficaci, inoltre sono associati ad effetti avversi oltrecchè ad alti costi. Perciò ci si orienta verso la ricerca di trattamenti opportuni alternativi (Neuhaus O et al., CNS Drugs 2005).

Nel 1995 si è osservato che la somministrazione di statine in pazienti che avevano subito trapianto di cuore, era associata a minori risposte di rigetto; ciò suggerì il ruolo delle statine nel trattamento di malattie infiammatorie (Darlington CL, Curr Opin Investig Drugs 2005).

Le statine, ampiamente prescritte come agenti in grado di abbassare i livelli di colesterolo, potrebbero rappresentare un trattamento alternativo in futuro nella sclerosi multipla, da utilizzare sia singolarmente che in terapie associate, dal momento che hanno dimostrato potenti effetti immunomodulatori (Neuhaus O et al., CNS Drugs 2005). Diversi studi hanno infatti rivelato la capacità delle statine di prevenire e far regredire l’encefalomielite sperimentale autoimmune cronica e recidivante, modello animale sperimentale della sclerosi multipla. Inoltre studi in vitro con cellule immuni umane, hanno evidenziato un’azione immunomodulatoria delle statine comparabile a quella dell’interferone beta 1-b (Neuhaus O et al., CNS Drugs 2005).

Studi in vitro hanno rivelato la capacità delle statine di ridurre l’espressione delle molecole di adesione cellulare indotte dall’attivazione sulle cellule T (Koh CS, Nippon Rinsho 2003), in particolare inibiscono l’espressione dell’integrina LFA-1 sulle cellule T, ligando della ICAM-1, molecola di adesione cellulare espressa sulla superficie luminale delle cellule endoteliali cerebrali, impedendo in tal modo l’ingresso di cellule flogistiche, come i linfociti T, all’interno del parenchima cerebrale. Inoltre è stata osservata, in vitro, una riduzione dellametalloproteasi di matrice-9 (MMP-9) (Koh CS, Nippon Rinsho 2003), enzima proteolitico che contribuisce all'"apertura" della barriera emato-encefalica e, perciò, ad amplificare lamigrazione transendoteliale delle cellule infiammatorie, in più la MMP-9 è dotata di attività mielinotossiche e neurotossiche.

Le statine, ancora, riducono,in vitro, l’espressione di recettori per le chemochine sia sui linfociti T che B (Koh CS, Nippon Rinsho 2003).

Ciò dimostra come le statine,in vitro, siano agenti immunomodulatori effettivi che meritano una valutazione come possibile trattamento della sclerosi multipla (Koh CS, Nippon Rinsho 2003).

Uno studio clinico, caratterizzato dal trattamento di pazienti affetti da sclerosi multipla con simvastatina, ha rivelato un significativo decremento del numero e del volume di nuove lesioni, come dimostrato dalla risonanza magnetica per immagini con mezzo di contrasto paramagnetico gadolinio (Neuhaus O et al., CNS Drugs 2005).

Uno degli approcci verso un miglioramento dell’efficacia di terapie per la SM sta nella capacità di identificare farmaci che determinino un beneficio sinergico quando usati in combinazione (Stuve O et al., J Clin Invest 2006).

La somministrazione orale di statine, con effetti immunomodulatori ed efficacia nel trattamento dell’EAE, modello della sclerosi multipla, è stata sperimentata nella SM. Dal momento che l’atorvastatina evidenzia effetti protettivi mediati dai linfociti Th2 e che possiede meccanismi d’azione differenti rispetto al glatiramer acetato (copolimero I), un agente immunomodulatore somministrato per via parenterale approvato nel trattamento della sclerosi multipla, è stato sperimentato se la associazione di questi agenti potesse essere efficace nell’EAE (Stuve O et al., J Clin Invest 2006).

Nei topi trattati con l’associazione atorvastatina e glatiramer acetato (copolimero I), la secrezione di citochine proinfiammatorie da parte dei linfociti Th1, era diminuita, al contrario, invece, la secrezione di citochine antiinfiammatorie secrete dai linfociti Th2 era incrementata; lo stesso non si era riscontrato nei topi trattati con ogni farmaco singolarmente e alle stesse dosi. Ciò dimostra che agenti con differenti meccanismi immunomodulatori, possono essere associati in modo sinergico nel trattamento dell’autoimmunità del sistema nervoso centrale e rappresenta il fondamento per sperimentare l’associazione atorvastatina e copolimero nella sclerosi multipla (Stuve O et al., J Clin Invest 2006).

Si sono conclusi due studi clinici sull’ efficacia di due statine, in particolare la simvastatina (Vollmer T et al., Lancet 2004) e la lovastatina (Sena A et al., J Neurol 2003), in pazienti affetti da sclerosi mutipla, che sembrano confermare le statine come potenziale terapia nella SM, da utilizzare singolarmente o eventualmente in associazione con altri farmaci già in terapia. E’ fondamentale sottolineare che i dati ottenuti sono ancora preliminari e che richiedono ulteriori conferme in quanto ad efficacia e tollerabilità. Quindi è sconsigliato ai pazienti con SM iniziare ad assumere statine come automedicazione prima che ulteriori studi su un numero più ampio di casi e di maggior durata siano conclusi.